L'organizzazione, il Maestro, l'allievo, il Dhikr

Ho passato molto tempo cercando
senza sapere che stavo cercando.
Ora cerco sapendo
che sto cercando.
Spero di giungere a cercare sapendo
che cosa sto cercando.


A) L'organizzazione, il Maestro, l'allievo.

  • Un buon sistema per imparare è, secondo il Sufismo, quello di guardare coloro che sanno come fare, e imitarli. Chi è andato in una dergah o in una tekké dovrebbe avere imparato il comportamento sufi da quelli che ha visto in azione;
  • I sufi si danno fra loro del "tu". I sufi danno al Maestro khalyfa del "lei"; ciò perché i sufi sono fra loro fratello e sorella, ma il Maestro è il padre e i sufi ne sono i figli;
  • Il khalyfa ha la giurisdizione totale per la nazione per la quale è stato nominato e dirige la dergah ("Casa madre"). Egli nomina per ogni altra tekké un Maestro shaykh;
  • Il Maestro khalyfa è nominato esclusivamente dallo shaykh âlShuyukh, che gli trasmette la baraka del Fondatore. In alcune Confraternite ogni nuovo shaykh âlShuyukh rinnova la nomina al khalyfa, con una cerimonia privata. I sufi sono iniziati o dal khalyfa o dallo shaiykh âlShuyukh se il khalyfa lo decide. Lo shaykh âlShuyukh lascia completamente libero in questa e nella altre decisioni relative al suo territorio il khalyfa preposto a quel territorio, e il khalyfa deve rispondere delle sue decisioni esclusivamente allo shaykh âlShuyukh. Nella iniziazione del sufi viene trasmessa la baraka del Fondatore;
  • La conduzione della Confraternita per la nazione cui è stato preposto è totalmente nelle mani del khalyfa, il cui operato e le cui scelte non sono né sindacabili né criticabili;
  • La Comunità è divisa in: apprendisti, compagni, Maestri. Gli apprendisti sono i sufi che hanno ricevuto l'iniziazione, ma non hanno gradi in seno alle Tekké; i compagni sono quei sufi che hanno ottenuto gradi in seno alle Tekké, soprattutto gli otto dirigenti di ogni singola tekké. I Maestri shuyûkh sono i capi delle tekké; i Maestri khulafâ (plurale di khalyfa) sono i capi delle tekké di una nazione e della relativa dergah (Casa madre). Lo shaykh âlShuyukh è il Maestro supremo di tutta la Confraternita (Taryka), e tutti dipendono da lui;
  • Gli apprendisti debbono obbedienza a: compagni, shuyûkh, khulafâ e allo shaykh âlShuyukh;
  • I compagni debbono obbedienza a: shuyûkh, khulafâ, e allo shaykh âlShuyukh;
  • Gli shuyûkh debbono obbedienza a khulafâ e allo shaykh âlShuyukh;
  • Khulafâ debbono obbedienza allo shaykh âlShuyukh.
  • Ai Maestri (terzo grado) è dovuto il rispetto.

Per ogni tekké la regola turca è questa:

  • quando entrano un khalyfa o Maestri di altre dergah o di altre Confraternite sempre ci si alza e si saluta con la mano sul petto. Quando entra il khalyfa, lo si saluta in modo speciale: braccia incrociate, inchino e alluce destro su alluce sinistro;
  • normalmente si salutano i Maestri baciando loro la mano;
  • quando un Maestro dà direttamente a un sufi qualcosa, il sufi bacia ciò che riceve;
  • non ci si siede sulla pelle che costituisce il luogo in cui si siede il khalyfa e che quindi lo rappresenta quando è assente; non si calpesta mai quella pelle;
  • ci si alza e si saluta nel modo sopra detto quando i Maestri escono dalla tekké.

Queste regole possono non piacere; sono quelle che regolano la vita della Confraternita; se non sono gradite... nessuno impone di far parte della Confraternita.

Essere un sufi (dai testi di Muhammad Sâlih Kanbû, XVII° secolo):

Essere un sufi vuol dire diventare ciò che si può diventare, senza cercar di perseguire quello che – allo stadio sbagliato – è illusione.
Significa diventar consapevoli di quello che ci è possibile, e non ritenersi consapevoli di quanto invece si sta trascurando.
Il Sufismo è la scienza di acquietare ciò che va acquietato, e di risvegliare ciò che va risvegliato. È anche la scienza che fa capire l'impossibilità d'acquietare o di risvegliare ciò che non lo può essere, o di credere d'averne bisogno quando non ce n'è bisogno.
Significa realizzare l'Unità nascosta nonostante le esigenze poste dalla diversità, e non per mezzo di queste esigenze.
Significa tener conto dei mezzi che nella diversità si presentano, senza pensare che i suoi aspetti esteriori possono essere in se stessi importanti.
Occorre avvicinarsi al Sufismo imparando a imparare; non cercando di acquisire conoscenza senza attuare la giusta pratica per conseguirla.
Ci si avvia a diventare un sufi rendendosi conto che costumi e preconcetti sono fatti essenziali solamente entro determinati e ristretti ambiti; non cercando di creare un nuovo costume o un nuovo preconcetto; e non giudicando mai sulla base dei preconcetti.
Occorre diventar consapevoli della non-importanza allo stesso modo con cui si è consapevoli dell'importanza; e senza cercare solamente i sentimenti importanti.
Sapere che l'umiltà è uno strumento necessario per il viaggio, se opportunamente corretta dall'ambizione, che si terrà del tutto lontana dall'orgoglio e dalla presunzione.
Sapere che non si guarisce con le parole bensì con il metodo corretto di sceglierle e di dirle al momento opportuno.
Il concentrarsi sulle aspirazioni non conduce all'elevazione. Un uomo, un libro, una scuola, un metodo applicabili a tutti, oppure quando entusiasmano tutti, sono come una trappola tesa per catturarti attraverso l'elemento più deleterio che c'è in te.

* * *

Così il sufi è un essere umano che ha scelto Dio. Che significa? Guardiamoci intorno: nel mondo fenomenico datoci da Dio in usufrutto c'è una infinità di cose.
Questo mondo fenomenico è anche la nostra gabbia, entro la quale siamo prigionieri. Siamo proprio costretti a dire: "È tutto qui". Questa frase tuttavia significa anche: "Qui c'è tutto".
Oltre a darci in usufrutto il mondo fenomenico, Dio ci ha anche dato il "libero arbitrio". Noi siamo in grado di scegliere, entro i limiti angusti di questa nostra prigione, il pensiero che vogliamo pensare e - sempre nei limiti fenomenici della prigione - le azioni che vogliamo compiere o la strada che vogliamo seguire. Più questa strada è spirituale più è libera; più questa strada è materiale, più è limitata dalla forza materiale del nostro prossimo e del mondo fenomenico stesso.
Leggiamo nel Corano la vicenda del Patriarca Abramo: (6ª76-79) Quando la notte lo avviluppò guardò una stella e disse: "Ecco il mio signore." Poi quando essa tramontò disse: "Non amo quelli che tramontano." Quando vide sorgere la luna disse: "Ecco il mio signore." Poi quando essa tramontò disse: "Se il mio signore non mi guida sarò certo fra gli smarriti." Quando vide il sole sorgere disse: "Ecco il mio signore, egli è il più grande." Poi, quando tramontò, disse: "Popolo mio, sconfesso tutto ciò che voi associate. Sincero, da monoteista, io volgo il mio volto verso Colui che ha creato i cieli e la terra; e non sono nel novero dei politeisti."
Che significa ciò? Tutto sulla terra tramonta. Tutto sulla terra – dice il Corano – è nulla. Molti adorano il denaro, la ricchezza, il benessere, il potere. Imperi sorgono, stati grandi e potenti, e tanti su questa terra si credono immortali, nella loro ignorante presunzione. Non v'è benessere, ricchezza, potere, impero, imposizione religiosa, ideologia politica, forma di governo, di qualsiasi natura essi siano, che non siano destinati a tramontare. Tutto è vanità, polvere, tutto è destinato alla putrefazione e alla morte. Sola eterna rimane l'essenza di Dio (Corano). Adorerò io qualcosa che tramonta, o adorerò Dio, essenza eterna e unico creatore di tutte le cose?
Ecco dunque perché il sufi è un essere umano che ha scelto Dio. Si è attaccato all'ansa solida che non si spezza, come dice ancora il Corano. Chi soggiace agli allettamenti vani di questo mondo fenomenico, ineluttabilmente destinato a perire, deride questa scelta. Il nostro cuore è pieno di Dio, che dice: "Né i cieli né la terra Mi contengono, ma Mi contiene il cuore del Mio fedele." Il nostro cuore, ogni giorno, percorrendo le vie del mondo, si riempie anche di immondizia. Vi si possono accumulare odio, egoismo, malvagità, debolezze e miserie. Vuotiamolo ogni sera con la preghiera a Dio, con il dhikr, con la meditazione. Saremo allora più intimamente legati a Dio e al contempo uniti a tutti i nostri fratelli sufi, ma anche a tutti coloro che adorano Dio di là da ogni coordinamento imposto dalle religioni organizzate.

 

B) I momenti della riunione sufi.

E veniamo ora ai momenti di attività. Sono essenzialmente due: la riunione collettiva in cui si fa istruzione, si discutono questioni relative alla Via, ma anche al lavoro pratico della Confraternita; e la riunione per il dhikr.

La riunione collettiva. Vi possono partecipare anche ospiti. Quali ospiti? "Si è sufi esclusivamente se si è musulmani"; tuttavia il cammino dei sufi può essere utile anche a persone che, pur chiamate dalla forza imperiosa del misticismo, sono legate alla loro religione, ed è giusto che conservino una tradizione che è intimamente loro propria. Li chiamiamo "compagni di viaggio". Essi possono assistere alle nostre riunioni "didattiche", ed eventualmente anche intervenire nelle discussioni. Ogni riunione inizia con preghiere musulmane, alle quali naturalmente i compagni di viaggio assistono ma non partecipano.
Ognuna di queste riunioni ha un tema centrale specifico, concernente - anno dopo anno - l'elaborazione dei sette simboli relativi ai sette "gradi di ascesa". Quindi per un anno si parla della luce, l'anno dopo del suono, e così via sino al settimo anno: ritmo e simmetria. E all'ottavo anno si ricomincia da capo: il suono, poi la luce, e così via. Ognuno di questi temi è studiato commentando anzitutto quanto ne dice il Corano, e poi i vari testi dei grandi Maestri del passato. Comunque vengono toccati anche altri argomenti: il commento di passi dai testi di celebri Maestri, la elaborazione di aforismi, la narrazione di novellette sufiche, o argomenti specifici portati da un ospite, per solito una persona di qualità.

Come esempio eccovi un commento ad un passo di âlHallaj (858-922), questo:

1 - "Sconvolgi il tuo parlare e sii assente alle chimere.
2 - Sottrai i tuoi passi al movimento del prima e del poi,
3 - attraversa il deserto delle istituzioni e dell'essere.
4 - Erra come un folle d'amore con coloro che son perduti d'amore
5 - e cogli il senso anagogico per diventare un uccello che va da
montagne a colline.
6 - Le montagne dell'intelligere e le colline della dignità
7 - affinché tu veda ciò che egli vede
8 - e divenga la spada di colui che colpisce nella Moschea sacra".

(1/a) "Sconvolgi il tuo parlare" ci invita ad abbandonare frasi fatte e luoghi comuni; ad usare correttamente i termini. L'uso appropriato del termine è essenziale. Alfred Lorenzer, in Sprachzerströng und Rekonstruktion (Suhrkamp V., Frankfurt/M 1971), dimostra che la nevrosi deriva da un uso improprio dei termini, ed egli costruisce mirabilmente la sua teoria su una lunga serie di valide dimostrazioni.

A questo proposito, affinché il discepolo impari subito il valore dei termini e la necessità di usarli correttamente, durante uno dei primi incontri il Maestro sufi è solito raccontare una novelletta intitolata Quadrupedi:
"Un funzionario della Corte imperiale transita per un paesino col suo seguito. È il mezzogiorno, e il sindaco l'invita a tavola. Davanti ai contadini attoniti questi spiega di essere nientepopodimeno che il maestro elementare dei figli dei cuochi dell'imperatore. Grazie alla sua carica, agli emolumenti, ai regali, ai risparmi s'è potuto costituire una buona fortuna, e in un ampio appezzamento di terreno nei pressi della capitale, fra muli, cavalli, asini e cammelli possiede ben duecento quadrupedi. E si pensi che ogni quadrupede vale in media quattro denari d'argento. Uno del villaggio, Nasruddin [il Bertoldo dell'Îslâm], interviene:
""Io possiedo cinquanta quadrupedi, e se li vuoi comperare, te li vendo a un denaro d'argento l'uno".
"Il maestro dei figli dei cuochi imperiali pensa di poter fare un affare sulla dabbenaggine del povero gonzo, e per non aver sorprese, chiama un notaio e stipula un contratto: "Acquisterà cinquanta quadrupedi a una moneta d'argento l'uno; se uno dei due contraenti mancherà all'impegno reciproco, diverrà schiavo dell'altro". Detto fatto, con una copia del contratto in mano, lo scemo del villaggio va a casa sua, e poco dopo torna con due facchini carichi di ceste contenenti cinquanta conigli. "Ecco - dice - i quadrupedi!".
""Ma perbacco! - ribatte l'altro - questi sono solo conigli, e valgono una moneta di bronzo l'uno, non d'argento!".
""Senz'altro, degnissimo - ribatte Nasruddin - Sono conigli, ma non sono bipedi, sono quadrupedi. E tu quadrupedi ti sei impegnato a comperare! Quindi paga" (novelletta tratta da: G. Mandel: Saggezza islamica: le novelle dei sufi. Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1995)" .

(1/b) "E sii assente alle chimere". Essenziale è anche non nutrire illusioni. Troppo spesso siamo inclini ad illuderci, su noi stessi, su ciò che abbiamo, sui valori che riusciamo ad acquisire, di qualsiasi genere e specie. Queste parole di âlHallaj ci invitano a non nutrire illusioni, e soprattutto quindi ad avere una visione precisa delle cose e di ciò che noi siamo. Essenziale!

(2) "Sottrai i tuoi passi al movimento del prima e del poi". Vi sono due tipi di perdenti: i perdenti volti al passato (dicono: "Ah, se avessi saputo...; se avessi potuto...; se avessi avuto....; se non avessi perso...; se mi avessero lasciato fare..."), e i perdenti volti al futuro ("Quando riuscirò ad avere...; quando mi potrò permettere...; quando finalmente raggiungerò..."). Il vincitore vive esclusivamente nel "qui e ora". Sa che se vuole un avvenire sereno lo deve preparare adesso, lavorando in quell'unico tempo che ha a sua disposizione: il presente. D'altro canto il passato "non è più presente": se un mese fa ho mangiato un pollo, il ricordo di quel pollo non mi nutre oggi; oggi ne debbo mangiare un altro. cAlî, genero del Profeta, disse: "Il passato è passato, l'avvenire è di là da venire. Uomo, fra questi due nulla alzati e conquista il tuo presente!".

(3/a) "Attraversa il deserto delle istituzioni...". Superati i preconcetti e le illusioni, supera anche le istituzioni che il più delle volte sono preconcettuate e illusorie. Non ti legare a istituzioni meschine e limitanti; supera la morale, e sostituiscila con l'Etica. La morale spesso è preconcettuata, pietistica e soprattutto ipocrita; sulla base dei preconcetti la morale ha troppe volte acceso roghi e innalzato patiboli. L'Etica è a dimensione umana ed è adatta a tutti gli esseri umani. La morale dice: "Non rubare il portafogli al tuo prossimo, perché così facendo commetti un peccato". L'Etica dice: "Non rubare il portafogli al tuo prossimo, perché così facendo gli procuri un danno." E dopotutto un danno al nostro prossimo, gira e rigira, arriva a danneggiare anche noi.

(3/b) "... e dell'essere." Il presuntuoso si riempie di sé. Egli crede "di essere" qlcuno, qualcosa, e pretende addirittura che si veneri questa sua forma di devianza psichica. Cerchiamo di non essere paranoici, e di non crederci importanti. La vera umiltà consiste nell'avere la corretta nozione del proprio valore: né ritenerci superiori a ciò che effettivamente siamo, ma nemmeno inferiori.

(4) "Erra come un folle d'amore con coloro che son perduti d'amore". Colui che è innamorato dà grande valore all'oggetto del suo innamoramento. Egli vive intensamente il suo momento d'amore. Così dovrmmo vivere le nostre azioni e i nostri momenti, e ne ricava del pari una intensa soddisfazione. Occupiamoci di ciò che davvero ci interessa, ed occupiamocene intensamente. E accompagnamoci a quanti vivono intensamente le cose di cui sono appassionati, e ne parlano, e ci illuminano in merito. Il dialogo con coloro che amano le nostre stesse cose con intensità è sempre un dialogo profittevole. I Sufi sono considerati "folli", perché non si abbandonano a illusioni, preconcetti, non seguono i luoghi comuni, le frasi fatte, le istituzioni limitanti e aberrate. Sono "i perduti d'amore" per Dio, sono gli "ebbri di Dio". Ancora âlHallaj scrisse: "La mia passione per Te ha invaso il mio cuore, e nel suo fondo non v'è per me altri che Te. Se, nell'amore, mi tagliassi a pezzetti, il fondo del mio cuore ancora desidererebbe solo Te".

Il grande poeta e matematico sufi cOmar Khayyam (?-1123) scrisse:
"Un mattino, una voce veniva dalla taverna. Gridava:
"A me, allegri bevitori, giovani folli, alzatevi!
Venite a vuotare un'ultima coppa.
Il nostro destino s'avvicina, ma l'ultimo vino... siamo noi"
("la taverna" è simbolo della tekké; la coppa è simbolo a volte dei discorsi mistici, a volte della realtà fenomenica; i folli sono i sufi, folli di Dio; il vino è simbolo a volte della spiritualità, a volte dell'anima).

(5/a) "E cogli il senso anagogico...". Cogli nella sua profondità il senso spirituale delle cose, il senso autentico del loro fine ultimo e del loro principio divino.

(5/b) "per diventare un uccello che va da montagne a colline." Per poter essere al di sopra dei fatti e delle parti, al disopra di tutta la transitorietà di questo mondo terreno in cui le grandezze si fanno e si disfano, e tutto è vanità, transizione. Per volare alto e vedere le cose con distacco, nella loro globalità "a volo d'uccello". Nella loro eminenza, andando da montagne a coloine, ossia da cosa che vale a cosa che merita. Tutto sulla terra è nulla, dice il Corano. E allora il sufi è "Nel mondo, ma non del mondo". Vive la vita comune, patisce, soffre, lavora, paga le tasse, ha il passaporto..., ma non è conquistato dalle vanità mondane, non è preso al laccio da sistemi di governo, o politici, o finanziari, o consumistici, non è limitato da concetti di patria o da confini, da colori della pelle o diatribe campanilistiche o etniche. Tutto si risolve in un continuo di energia, tutto è una nebbia, qua e là più densa o meno densa. E noi siamo energia, nebbia, come qualsiasi cosa di questo mondo terreno, ma possediamo un'anima divina, goccia di quell'oceano senza fine che è Dio, e il nostro fine ultimo è Dio.

(6) "Le montagne dell'intelligere e le colline della dignità". Volare come un'aquila che, nel cielo, vede tutte le cose dall'alto, e averne una visione distaccata. Volare da cosa eminente a cosa eminente, e non pietire nella bassa valle con tutte le genti del mondo che pietiscono e non alzano lo sguardo dal suolo cui sono legate. Volare dalla cima di quell'intelligere, di quel "capire" che ci distingue dagli animali,alla cima della dignità, cioè di una vita seria, serena e staccata.

(7) "Affinché tu veda ciò che egli vede": affinché la tua vita si svolga nella comprensione delle cose elette, con persone elette, con argomenti eletti, con occupazioni elette; affinché tu giunga a capire in modo illuminato i misteri dell'universo e senta, nel dhikr e nella meditazione, la presenza di Dio che tutto pervade.

(8) "E divenga la spada di colui che colpisce nella Moschea sacra". Affinché tu divenga lineare, impeccabile, tagliente come una spada. Una spada è diritta, temprata, tagliente. Colui che ha una spada non teme nemici: sa difendersi. Chi gli vuole male sta lontano da lui, le anime vili non osano attaccarlo. Egli è tutto d'un pezzo, se stesso, senza falsi valori, senza preconcetti, senza ipocrisie. Non teme nessuno, sa difendersi, sa quali sono i valori autentici e sa possederli in modo positivo, luminoso e completo. È âlÎnsan âlKâmil: l'uomo realizzato, l'uomo perfetto. E inoltre quale è la "Moschea sacra?" Come già detto, Dio afferma: "Nè i cieli né la terra Mi contengono, ma Mi contiene il cuore del Mio fedele". Il cuore del fedele è dunque quella mosche a sacra al cui interno occorre potare i rami secchi, recidere le cose inutili, usare la spada per scindere consapevolmente il bene dal male.

 

C) Il Dhikr (la "Rammemorazione" di Dio).

Il dhikr trasupera l'umano; trasupera il limite umano nell'estasi;
per cui, mentre il sogno è libera attività cerebrale specificabile
scientificamente, l'estasi non è quantificabile scientificamente.
Trasuperando la natura umana è forse, allora,
espressione dell'anima e prova della sua esistenza?

Muhammad Îqbal (1877-1938)

Dice il Corano (7ª205): Invoca dentro di te il Signore con umiltà e timore, sottovoce, mattina e sera e non essere fra i negligenti.
Dice il Corano (13ª27-28): Quelli che non credono, dicono: "Perché non è stato fatto scendere su di lui un segno del Signore?" Di': "Certo, Dio smarrisce chi Egli vuole e guida a Sé colui che si pente 28 e quelli che credono, ed i cui cuori si rasserenano alla rammemorazione [dhikr] di Dio." La rammemorazione [dhikr] di Dio rasserena i cuori.
Dice il Corano (25ª62): Ed Egli ha assegnato l'alternanza alla notte e al giorno per chiunque vuole recitare il dhikr ed essere riconoscente.
In un Hadîth sahîh leggiamo: "Dice il Sigillo dei Profeti: "Gli esclusivi (mufarridûn) arrivano primi. Gli fu chiesto: "Chi sono gli esclusivi, o Inviato di Dio?" Rispose: "Sono quelli che rammemorano [dhikr] Dio frequentemente. E l'esclusivo è quello che non è con nessun altro che Lui"..
Varie ragioni conferiscono effettivamente al dhikr l'importanza che vi danno tutte le Confraternite sufi. Anzitutto le illuminazioni che si hanno durante il rito, la presenza sensibile del divino, la "compagnia" avvertibile ma spesso anche udibile di entità superiori. (Tutto ciò, comunque, per gli psicologi e gli studiosi del sistema nervoso centrale è un effetto puramente fisiologico, dipendente dal fatto che il dhikr iperventila i ventricoli cerebrali, e quindi iperossigena il sistema nervoso centrale del sufi, "gasandolo" in modo positivo.)
D'altronde il dhikr ingloba in sé i sette temi che aiutano la comprensione dei sette gradi evolutivi: suono, luce, numero, lettera, parola, simbolo, ritmo-simmetria. Possiamo capirlo leggendo questo antico testo di cAbd âlRazzâq âlQâshânî (?-1329): "Prendiamo una metafora. Il terreno che viene urtato dal suono è esso stesso movimento ondulatorio. L'onda è il metro, il ritmo nasce dalla combinazione dei toni su questa onda [...]. I toni si ripartiscono sulla misura, regolare o non regolare; possono riempirla succedendosi con rapidità, o al contrario lasciare vuoti vasti intervalli. A volte si affastellano, a volte si distanziano [...]. In ragione di questa libertà di ripartizione e di innescamento, i toni possono dare alla forma di base, costantemente sinuosa, un profilo nobile, sempre differente [...]. Questi giochi del tono sull'onda sonora, questo modellarsi della sostanza dell'onda, la coincidenza e l'opposizione delle due componenti, la loro tensione reciproca e l'adattamento continuo degli uni negli altri, ecco ciò che chiamiamo, in musica, il ritmo."
La ripetizione dei toni ha un doppio obiettivo: soddisfare l'esigenza della simmetria che pretende d'essere compiuta, e assolvere il ruolo di collegamento nella catena d'amplificazione. Gli stati spirituali e i toni musicali, qualità variabili e non permanenti - che pretendono un incontro o un luogo in cui scendere per modificare il ritmo -, trovano una espressione simbolica non solo nel dhikr, ma anche in tutte le autentiche opere d'arte.
Vi sono due tipi di dhikr: quello collettivo e quello individuale. Il maestro sufi cAbd âlRazzâq âlQâshânî (?-1329), commentando il versetto 2°198 (E rammentatevi di Lui; come vi ha mostrato la Via, anche se prima eravate fra gli sviati.), scrisse: "Vi ha guidati alla Sua rammemorazione secondo gradi. In realtà Dio guida anzitutto verso il dhikr della lingua, che è la rammemorazione dell'anima; poi verso il dhikr del cuore, che è la rammemorazione degli Atti da cui provengono i benefici e i segni divini; poi c'è il dhikr del segreto (sirr), che è la visione segreta degli Atti, e il disvelamento della scienza dell'epifania degli Attributi; poi il dhikr dello spirito, che è la contemplazione delle luci dell'Essenza; poi il dhikr del "nascosto" (khafiy), che è la contemplazione dello splendore del Suo Essere, con il perdurare della dualità; poi il dhikr dell'Essenza, che è la presenza testimoniale essenziale (shuhûd dhâtî), poiché tutto il resto è sparito".
Lo Shaykh Muhammad Âmîn âlNaqshbandî, nel suo Tanwîr âlQulûb, enumera le undici regole del dhikr del cuore, e cita lo shaykh Âbû Sacîd âlKharraz: "Quando Dio vuole prendere come amico uno dei Suoi servi, gli apre la porta del Suo dhikr, e quando costui si compiace del dhikr, gli apre la porta della Prossimità; poi lo innalza alla riunione dell'Intimità, poi lo fa sedere sul trono dell'Unità; quindi gli toglie il velo e lo fa entrare nella casa della Singolarità e gli disvela la Maestà e la Gloriosità, e quando lo sguardo del fedele incontra la Maestà e la Gloriosità, eccolo senza se stesso. Allora egli e il tempo si annullano, ed egli entra nella protezione divina, preservato da ogni pretesa del sé".
Ed anche il grande Maestro Îbn cAtâc descrisse in una poesia i vari gradi della rammemorazione:


"Penso che vi siano differenti generi di dhikr:
e sono pieni dell'amore e del desiderio che spingono alla rammemorazione.
Un ricordo che è il compagno intimo dell'anima, e che si mescola ad essa
come se prendesse il posto del soffio di vita, circolando e usufruendo delle sue vie.
Una invocazione che spolia l'anima da se stessa,
e che è per essa la sua fine, lo sappia o no.
E una invocazione che s'innalza ben al disopra delle cime e delle sommità,
e che sfugge alla morsa dell'immaginazione e del pensiero;
gli sguardi dell'occhio-del-cuore Lo vedono, ed è una visione autentica;
ed allora il cuore in contemplazione dimentica il dhikr".


Ai sovietici non sfuggì l'importanza del dhikr, come si vede nei loro opuscoli di propaganda anti-islamica. A. Bennigsen & Ch. Lemercier-Quelquejai, nel loro considerevole studio Le soufi et le commissaire (Seuil, Paris1986), citando in sintesi vari autori sovietici dicono: "Lo zikr è la cerimonia principale della confraternita sufi. "La confraternita si materializza nello zikr [...] che fora l'ossatura della tariqa e serve da cardine al suo misticismo". La propaganda antireligiosa non sbaglia quando prende di mira soprattutto lo zikr, e lo denuncia come "l'aspetto più odioso del sufismo", giudicato di volta in volta "antisovietico", "antirusso", "malsano", "anti-igienico", e in fine "antisociale". Gli specialisti dell'agitprop insistono sulla colorazione nazionalista, politica e xenofoba del zikr, a causa del suo richiamo costante alla guerra santa condotta contro i Russi nel XIX secolo... Certi attacchi contro lo zikr insinuano ancora che la cerimonia si conclude con orge sessuali."

Il Maestro Âhmad Nûrî (?-907) così espresse la propria ansia mistica emergente dal dhikr: "Vorrei rammemorarLo senza sosta, tanto il mio amore per Lui è intenso, ma, cosa stupefacente, la rammemorazione sparisce nell'estasi (wajd); ma, cosa ancor più stupefacente: a volte è l'estasi che sparisce, a volte è la rammemorazione stessa, nella prossimità e nella lontananza".
Nell'ambito della poesia, leggiamo la descrizione del dhikr e delle sue implicazioni in un testo dello shaykh Âhmad ben Mustafâ âlcAlâwî (1869-1934), intitolato appunto Il dhikr è origine d'ogni bene:

Il dhikr è origine d'ogni bene.
Come sono stato negligente e ho perduto tempo!
E quei giorni sono perduti; che fare ora?
Da oggi debbo approfittare del mio tempo
e menzionare Dio sinceramente;
presente con il cuore e con la coscienza.
Il dhikr è migliore della vendita, dell'acquisto.
Ah, se riuscissi a dirvi ciò che esso vale!
Vale più della regalità e del ministero
ma la gente lo disdegna:
tutto questo mondo è in perdita;
ha invaso ciò che è giusto e ciò che è ingiusto;
(il Signore ci preservi dal suo fuoco),
e temo che la mia anima ne diventi cavalcatura
diventando prigioniera tra i suoi artigli.
Dopo il Patrocinio divino e le buone virtù
il dhikr è origine d'ogni bene.
Mio Dio: i mali si sono sparsi in ogni luogo,
e il dhikr è diventato così pesante per le lingue!
La gente si è data a comportamenti bizzarri,
e così i loro stati sono molteplici e vari.
La Ricerca è immersa nelle ricerche
perché la sincerità è del tutto rara.
La gente ha il cuore duro.
I buoni consigli sono vani per i maestri del peccato;
e io sono stanco di avvertire.
Che valgono mai le mie parole a paragone di quelle dei profeti?
Il dhikr è origine d'ogni bene [...].

* * *

E quando il dhikr - sia esso collettivo, o sia individuale - giungerà al suo scopo, "questo risultato - dice Muhammad Âmîn âlNaqshbandî - sarà stato determinato dall'abolizione della tua parte umana e dei tuoi pensieri di "entità creata", così come dalla perdita dell'essere nel "rapimento divino essenziale" (âlJadhbat âlÎlâhiyyat âlDhâtiyyah). Allora nel tuo cuore apparirà la virtù agente di questo "rapimento divino", e ciò consiste nell'orientamento (tawajjuh) del cuore verso il Mondo Santissimo (âlcâlam âlÂqdas) che è l'origine dell'amore essenziale conferito all'essere nonché dell'effetto sopraggiunto. L'essere ne trarrà allora profitto a seconda della sua "disposizione" (îsticdâd). Questa "predisposizione" è essa stessa dono divino, fatto alle anime prima che queste si incorporino, dono che viene dalla prossimità essenziale, dono eterno".

Concludo con una poesia che scrissi nel 1954, riassuntiva del discorso che abbiamo visto pagina dopo pagina:

Se vuoi ritrovare te stesso fuggi lontano da te,
poiché Colui che risiede nell'essere vero dell'Essere
è in ciò che non è, ma per scorgerlo
tu dovrai divenire.
Lungo il sentiero percorso da questa inutile fuga
fa che ti guidi Te stesso, presente ignorato di te
come colui che accostandosi all'alto maestro s'avvede
che è solamente se stesso.
Per cui l'unità relativa che ha fatto di te il tuo essere
diventi il concetto infinito di quell'infinito concetto,
per cui divenuto nel tutto l'essenza dell'uno si annulli,
poi che reale è l'Uno.

 

Rimini 2004 - Istituto di filosofie orientali e comparative - corso sul Sufismo
dott. prof. Gabriel Mandel Khan (possa il suo Segreto essere santificato)
Khalifa dell'Ordine sufi Jerrahi Halveti per l'Italia fino al 2010

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